La tecnica di Grillo è ribaltare il tavolo ogni giorno. Dopo un’uscita da cartellino rosso, puntare il dito contro le magagne degli altri, i partiti. I quali una mano gliela danno sempre. Ieri per esempio, passata da due giorni l’assurda uscita contro Rodotà, li ha prima attaccati per la finta abolizione del finanziamento, «è vivo e vegeto, se speravate che fosse cancellato mettetevi l'anima in pace». Non si può dire che su questo non abbia alcuni argomenti.
Ma siccome questa critica era troppo ragionevole, s’è rilanciato nell’invettiva contro i giornalisti; prima sul blog, prendendosela soprattutto con quelli Rai («plotoni di addetti stampa raccontano le balle dei partiti senza vergogna pagati dal canone», «dovranno rendere conto della loro omertà, dei loro attacchi telecomandati, dei loro silenzi, sono più colpevoli dei loro padroni»); e chiedendo la commissione di Vigilanza al M5S, «o ne trarremo le conseguenze». Poi, dal vivo, in Sicilia.
Nel comizio di Mascalucia, nel catanese - dove ha iniziato un rapido tour per le amministrative in alcuni piccoli comuni dell’isola - , quando ha parlato dei giornalisti aveva quel tono che prende quando grida «italiani!» e mima il duce: recitava. Le parole, messe per iscritto, fanno un altro effetto: «Non ce l’ho con i giornalisti, ma io non dimentico niente», ha detto. «Gli faremo un c... così.... Faremo i conti con i Floris e i Ballarò, Piazzapulita, Quinta Colonna...». Poi è tornato su Rodotà e la Gabanelli, «è successo di tutto, ci si sono rivoltati contro» (anche se di Rodotà ha ripetuto «lo stimo, ma poteva chiamarmi, farmele per telefono, quelle critiche»). Insomma, è il solito corto-circuito, alimentato e fintamente subito, in cui uno show diventa un titolo di agenzia, e l’equivoco è l’altro versante della chiacchiera, più o meno disinteressata.
Non si potrebbe, come anche molti suoi elettori chiedono, stare di più ai fatti? Grillo, notizia che siamo in grado di riferire, sta organizzando assieme ai 163 parlamentari un viaggio a Taranto, all’Ilva: «Con tutti i nostri parlamentari andremo lì, dentro gli stabilimenti. Stiamo due giorni a Taranto, facciamo un grande punto con i sindacati, gli operai, tutta la cittadinanza... Li ascoltiamo. Le centrali chiudono, non solo quelle italiane. L’acciaio cinese fa una concorrenza spietata sui prezzi».
La sua idea, che evoca Naomi Klein, o il primo movimento di Seattle (o l’ultimo Tremonti), è introdurre dei dazi: «Quando toccherà a noi metteremo una protezione sull’acciaio italiano, nei confronti di quello cinese, come fanno già gli Stati Uniti di Obama». Idea sulla quale si può discutere, ma rientra in pieno in quel trasversalismo che è stata la sua fortuna.
Poi naturalmente si fissa; mescolando torti e ragioni. «Giornali e tv parlano degli scontrini, mi chiamano guru, miliardario pazzo, però non vanno a chiedere al Pd perché non ridà i 46 milioni di rimborsi. A luglio c’è la prima tranche: vi sfido, andate a vedere se il Pd li incassa o no». Oppure: «Sui nostri 42 milioni sarebbe bastato farmi nominare tesoriere e credetemi, avrei potuto farlo, e li gestivo io quei soldi, sono pure genovese... Invece io non ne voglio sapere». Non è Bossi, o il Pd, tanto meno Berlusconi, rivendica; anzi, quando dal pubblico gli nominano il Cavaliere dice, recitando compassionevole, «lasciatelo stare, è un uomo malato, è giallo, è polvere»...
Grillo - e, questo è il punto, un’Italia singolarmente ampia - è convinto che i media italiani abbiano un lievissimo problema di credibilità (lui dice: «fanno i titoli su delle cazzate, guardano pagliuzze, che spesso neanche ci sono, e dormono sulle travi vere degli altri»). È come se scommettesse continuamente su un’unica modalità: vincere tutto o perdere tutto. «E’ un sogno - dice ai siciliani - credeteci; altrimenti è solo un suicidio assistito»; mai come ora le due evenienze si sfiorano.