Alcune isole dell’America Centrale hanno dato il maggiore contributo in termini di sviluppo e di evoluzione dei balli caraibici. Si pensi a Cuba, Portorico, Martinica, Haiti, Repubblica Dominicana, Giamaica, Guadalupa. Sono luoghi dalla bellezza naturalistica senza eguali che rappresentano la culla del folklore, della musica e delle danze, da sempre. Molte delle isole caraibiche, veri centri promotori di ritmi di tendenza, sono state scoperte da Cristoforo Colombo. Alcune erano così piccole che per descriverle ad Isabella di Castiglia al navigatore gli bastò mostrare il suo fazzoletto ed esclamare semplicemente: “Questa è l’isola Maestà”. A partire dai primi anni del Cinquecento spagnoli e portoghesi incominciano a commerciare in schiavi africani in un andirivieni tra le coste occidentali africane e quelle caraibiche. Fu una vera e propria deportazione di massa di milioni di africani costretti a lavori forzati nelle piantagioni di canna da zucchero del nuovo continente. L’interazione culturale e musicale delle diverse razze che si verificò durante i secoli, contribuì allo sviluppo dei diversi ritmi caraibici. Senza dimenticare la tradizione religiosa proveniente dall’Africa. In un sincretismo quasi perfetto africani e nativi d’America diedero luogo, mescolando le loro confessioni, ad una sorta di nuova fede, la Santeria, che si esplicava attraverso la venerazione di divinità a suon di strumenti musicali "recuperati" dalla vita di ogni giorno.
Le maracas (composti con zucche svuotate e sassi), i tamburi (qualsiasi tipo di cassone vuoto) e le claves (composti da due bastoncini di legno) diventano “…la sintesi terapeutica e dei simboli” (Diego Carpitella). È in un contesto di miseria e di riscatto che prendono origine i balli caraibici. Le popolazioni locali caribene avevano accresciuto abitudini di culto, di produzione ritmica e di danza da poter far pensare a vere e proprie primigenie manifestazioni artistiche. Mentre i primi conquistatori per secoli cercarono l’oro, le ricchezze, l’acqua e spesso, però, trovarono tanti ananas, la popolazione locale miscelava la contradanza, il passepied, la quadriglia con le tradizioni afrocaraibiche musicali. Una vita che man mano diventava, per così dire, sempre più sociale con le contraddizioni e le difficoltà del momento. Chi lavorava nelle piantagioni viveva una condizione di schiavitù, ma aveva nel sangue il ritmo e le movenze tipicamente africane del nuovo ballo, la Rumba. Gli aristocratici, invece, si dilettavano nel nascente ballo del Danzon, derivato dall’incontro tra le culture europee e caraibiche. Nelle feste popolari più significative, ricchi o poveri, liberi o in catene, si ballava e cantava, si pregava e si sperava. I balli caraibici non hanno avuto uno sviluppo omogeneo su tutte le isole del mar dei caraibi. Il filo rosso che li collega potrebbe essere il contesto geografico e storico in cui tutto è nato. Vanno definiti, ancor prima che ballati, per la loro grande capacità di aggregazione sociale che nei secoli, appunto, ha reso possibile trasformazioni, evoluzioni, invenzioni, e non solo in termini coreografici.
MASSIMILIANO RASO