Per capire la vita, la storia e la tradizione di un popolo, bisogna osservarne riti e credenze, usi e costumi, musiche e canti. Già l'inchiesta napoleonica dell’Ottocento, svolta nel Regno d'Italia sui dialetti e i costumi delle popolazioni locali, posta in essere per individuare ed estirpare pregiudizi e superstizioni ancora esistenti, fece un primo tentativo di capirne e analizzarne i caratteri del folclore tipico della gente italica. La più conosciuta tradizione coreutica d’impatto popolare è la pizzica, sin da subito associata ad un particolare rito etnocoreutico, il tarantismo, un fenomeno antico riconducibile alla città di Taranto. Etimologicamente sembra accertato chetaranta e la sua versione diminutiva tarantula siano voci d’origine italiane, da attribuire al toponimo Tarentum. Un’antica testimonianza della seconda metà del Cinquecento è fornita da Nicolas Audebert, poeta francese, ricco borghese d’Orleans, che scrive: “La Tarantola è più comune in Puglia che in nessun altra località e principalmente dalle parti della città di Taranto, donde ha preso il nome, perché durante tutta l’estate nei campi ce ne sono un’infinità.” Il trattato De venenis, del fiorentino Cristoforo degli Onesti (secolo XIV), contiene il capitolo De morsu tarantulae in cui si menziona il tarantismo come sindrome da avvelenamento dovuta al morso di un animale. Nel Seicento il tedesco Kircher scrive: “alcuni corrono, altri, ridono, altri piangono, altri dormono o soffrono d'insonnia, (…) tutti sono presi da frenesia, sono furiosi, sembrano impazziti”. Ferdinando I ebbe a dire più tardi: “Mostrano i genitali, si strappano i capelli, si lanciano in mare”. Nel Tarantismo, come nella Pizzica d'invenzione moderna, la storia ruota intorno al morso di un ragno leggendario il cui effetto provocherebbe frenesia coreutica. Solo danzando una certa musica terapeutica si riuscirebbe a calmare la follia corpeorea. Ma e' tutta colpa di un aracnide diffuso nelle campagne ioniche? Può il suo morso portare alla pazzia, all’isterismo solo in una determinata terra e a un determinato popolo? Ad infittire la vicenda una leggenda narra di una giovane ragazza, Arakne, sedotta da un marinaio la cui barca fu affondata nei pressi di una costa. Arakne vide morire il suo amore dopo anni di attesa così, alla sua morte, Zeus la rimandò in terra per restituire il torto ricevuto, non come ragazza ma come tarantola.
Solo frutto dell'ignoranza e della credulità popolare? La prima fonte scritta che cita la pizzica risale alla fine del Settecento (1797). L’aristocrazia tarantina offrì al re Ferdinando IV di Borbone, in visita diplomatica nella città ionica, una serata da ballo. Il testo parla di "pizzica pizzica" una sorta di tarantella nobilitata. La pizzica, infatti, fa parte della grande famiglia delle tarantelle, un gruppo di danze diffuse dall'Età moderna nell'Italia meridionale. Nel 1959 l'etnologo Ernesto de Martino prova a fare il punto della situazione. Egli compie un’indagine su eventi e persone a lui contemporanee aprendo uno squarcio temporale in cui le tradizioni, i miti e i riti del passato convivono nel presente fra i paesi della Puglia, nella "Terra del Rimorso". Un viaggio in un territorio dagli ampi spazi geografici e culturali in cui si mescolano tradizioni locali ancestrali. Un viaggio in cui e' la bellezza del territorio a parlare. Un'esperienza umana intrisa di danze e misteri, di riti e terapie in cui mostrera' il suo lato migliore nella fioritura degli orti di Taranto, del Galeso ombreggiato di Pini. Se la pizzica ha attinenze con il tarantismo, se un ballo può nascere da fenomeni paranormali, se il famigerato ragno sia mai esistito forse non lo sapremo mai con certezza. Con il tempo, di fatto, la pizzica ha trovato una sua autonomia come tipo di danza e genere musicale, oltre a divenire un vero e proprio fenomeno popolare. Se da un lato, quindi, il tarantismo andava estinguendosi per effetto dei mutamenti nei costumi della società, la pizzica è stata rivisitata in contesti completamente differenti e con significati profondamente mutati, un classico esempio di "revival folklorico", come ha detto l'antropologo Tullio Seppilli.
MASSIMILIANO RASO