La «gravità» del caso del Gruppo Riva è tale da imporre «una visione nazionale», mentre finora la politica è stata «timida» ed è ora che si assuma «una responsabilità più chiara e definita». È quello che chiede l'arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro, commentando alla Radio Vaticana la vicenda del gruppo Riva e la decisione della famiglia di chiudere sette aziende dopo il sequestro di beni per circa 8 miliardi relativo al caso Ilva avvenuto a luglio scorso.
Mons. Santoro paventa un effetto domino su Taranto. «Sono coinvolte, con questo passo dell'azienda, altre imprese dell'Italia e mettono in evidenza la gravità da noi sottolineata della situazione, affrontata da parte della politica in maniera timida: la gravità è così alta che impone una visione nazionale!», spiega, aggiungendo che «ci vorrebbe proprio un tavolo permanente di confronto sulle questioni Ilva, non in forma occasionale».
Sulla vicenda dei Riva, secondo mons. Santoro, «la politica è intervenuta dopo l'intervento dovuto della magistratura», mentre «di fronte ad un dissesto così grande, ci vuole un'assunzione di responsabilità più chiara e decisiva».
«L'aspetto più fondamentale è: quale politica industriale noi vogliano? - conclude il presule - Una politica che non può essere più quella che negli anni Sessanta-Settanta è stata fatta a Taranto. Qui è stato fatto, in quell'epoca, già un convegno sullo sviluppo industriale del Sud, quando il problema era l'occupazione ... Adesso ci vuole proprio un ripensare la politica in termini più ampi, più profondi e più umani. Saremo più sobri, saremo più essenziali, però ci dobbiamo salvare tutti!».