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mercoledì 5 giugno 2013

"I RIVA NON OFFRONO GARANZIE PER LA SALUTE" MICHELE PELILLO

Pubblichiamo l’intervento dell’on. Michele Pelillo (PD) alla Camera dei Deputati sulla vicenda Ilva. Ecco il testo: " Signora Presidente, signor Ministro, colleghe e colleghi. Non so quanti di voi abbiano avuto l’occasione di conoscere Taranto. Taranto è una città molto bella, incastonata tra Mar Piccolo e Mar Grande, per storia antica e vocazione naturale destinata ad essere la gemma più preziosa di quel diadema che è la Puglia. All’inizio degli anni ’60 lo Stato decise di costruirvi l’Italsider, la grande fabbrica che, dopo il raddoppio realizzato negli anni ’70, divenne il centro siderurgico più grande d’Europa; una fabbrica che si estende per 1500 ettari, che nel 1980 arrivò ad occupare oltre 30mila unità (di cui 22mila dipendenti diretti) e che oggi ne occupa 15mila, di cui 11mila diretti.
A distanza di quasi cinquant’anni - la produzione iniziò nel 1964 - è opinione comune che il grande errore fu quello di costruire la fabbrica affianco alla città, collocando addirittura i depositi del minerale, i famigerati parchi minerari, a qualche centinaio di metri dal quartiere Tamburi. L’imperdonabile errore di quella generazione di classe dirigente fu incredibilmente accresciuto con il raddoppio dello stabilimento realizzato negli anni ’70.
Dopo 31 anni di gestione dello Stato, la fabbrica, nel frattempo ridenominata Ilva, viene ceduta nel 1995 alla famiglia Riva. Al momento della cessione la fabbrica è tutt’altro che ecocompatibile, ma le conoscenze scientifiche e la sensibilità ambientalista sono ancora poca cosa. Emilio Riva impone un approccio vetero-padronale all’interno - con eccessi clamorosi quali le famigerate palazzine LAF - e colonialistico sul territorio. Lui è il più forte, lui determina i destini sociali ed economici. La grande parte della classe dirigente si piega come spiga al vento. I sindacati, la politica, gli imprenditori, le istituzioni, gli organi d’informazione. Pochi resistono. A fine anni ’90 comincia ad avvertirsi maggiormente l’esigenza di ambientalizzare la grande fabbrica e di ridurre il suo impatto sulla città. Si susseguono tavoli, atti d’intesa, solenni impegni da parte della proprietà. I Riva affermavano di fare, ma non c’era controllo. La diffusa sudditanza psicologica nei loro confronti, dettata dall’onnipresente ricatto occupazionale, degenerava, in alcuni casi, in colpevoli comportamenti omissivi e conniventi all’interno di quel ’sistema Ilva’ che la magistratura tarantina ha svelato.
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Nei primi anni 2000 i dati epidemiologici cominciano a seminare panico e cresce a vista d’occhio la consapevolezza che il diritto al lavoro non può calpestare il diritto alla salute, alla vita. Ma eravamo ancora in pochi. Dobbiamo arrivare al 2008 per vedere Taranto scendere in piazza e l’onda ambientalista crescere a vista d’occhio e nel modo più spontaneo. Parte della politica smette di balbettare, rialza la schiena ed arriva la coraggiosa legge regionale antidiossina. Fino ad arrivare al 2012, quando la magistratura decide di intervenire, costringendo il governo nazionale ad inserire la questione Ilva nella sua agenda.
Il Parlamento lo scorso anno ha approvato due leggi per Taranto, la 171 e la 231; la prima, sulle bonifiche all’esterno della fabbrica; l’altra, la 231, la più rilevante, sull’ambientalizzazione della fabbrica stessa e sull’emergenza sanitaria. Il Partito Democratico, signor Ministro, chiede al governo innanzitutto la piena esigibilità di quanto previsto dalle due leggi. Senza entrare nel dettaglio, nella 171 le poche risorse già previste - e che bisognerà presto integrare - non sono ancora del tutto disponibili e quelle disponibili rischiano di restare impigliate nella rete di scadenze ravvicinate e patto di stabilità; per quanto concerne la 231, parte della legge ancora non è applicata. Anche dopo i recenti avvenimenti giudiziari, il PD continua a sostenere che vada fatto ogni sforzo, vada esplorata ogni soluzione che possa garantire l’agognato punto di equilibrio tra fabbrica e ambiente, tra lavoro e salute, tra l’esigenza dell’industria italiana e la qualità della vita degli abitanti di Taranto. Per il Partito Democratico la stella polare continua ad essere la immediata, piena e rigorosa applicazione dell’AIA, incardinata nella legge 231, con l’auspicio, dopo averla ottenuta, di poter fare anche di più.
Ma per fare questo il Partito Democratico ritiene che la proprietà dell’Ilva non sia più in grado di offrire alcuna garanzia. Pertanto chiede al governo, pur conscio della particolare complessità della fattispecie giuridica, di assumere l’iniziativa più adeguata per affidare ad un’autorità terza il compito di ottemperare a tutte le prescrizioni previste dalla suddetta autorizzazione integrata ambientale, con il massimo coinvolgimento delle diverse articolazioni sociali ed istituzionali locali, anche immaginando la costituzione - a latere - di una sorta di comitato di sorveglianza. Tutto nella garanzia della continuità della produzione".
"È acquisito che la vicenda Ilva-Taranto non è una piccola questione locale. È senz’altro una grande questione nazionale, per evidenti ragioni di strategia industriale e perché lo Stato è debitore nei confronti di Taranto. Ma, in realtà, essa ha un significato ancora più grande. Una vicenda emblematica di inizio millennio per l’intero mondo industrializzato, che non può rinunciare al suo apparato industriale, pena un rapido ed irreversibile declino, ma che deve necessariamente e rapidamente creare una condizione di equilibrio che garantisca la salute e la vita dentro e fuori dalla fabbrica. Una scommessa difficile. Una scommessa da vincere".

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