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giovedì 6 giugno 2013

DECRETO SALVA-ILVA. E ADESSO I CONTRIBUENTI PAGHERANNO LE BONIFICHE

Inquietante è il silenzio non solo dei politici, ma soprattutto della società civile nazionale, delle grandi associazioni dell’ecologismo su questo secondo decreto salva Ilva, che carica sulla collettività il costo delle bonifiche ambientali. E’anche la riprova della strumentalità delle posizioni ecologiste di questa falsa e autoreferenziale, sinistra di Palazzo .
Di partiti di Governo, che parlano di decarbonizzazione dell’economia, di disinquinamento, di green economy solo quando c’è da musare nel trogolo dei benefici di Stato come i provvedimenti europei sul target di falsa lotta alle emissioni e di sistematica disapplicazione del principio del Trattato dell’Unione “ chi inquina paga “. L’UE ha fissato target di limitazione di emissione di gas serra e gioisce affermando di rispettarlo ma tace , sulle emissioni dei prodotti importati.
Basta solo un dato: più di un quinto delle emissioni globali ovvero quasi 6,5 mld di tonnellate di solo biossido di carbonio deriva dagli scambi internazionali e, in particolare dalle esportazioni della Cina e da altri mercati emergenti verso i consumatori dei Paesi sviluppati.
Merci che questi paesi producono con un’elevata intensità carbonica espressa in dollari per Kg di biossido di carbonio. Insomma la riprova della falsa coscienza dell’UE, che dichiara la guerra alle emissioni sul territorio ma, che poi importa in abbondanza merci da paesi come Cina e India.
Stessa ipocrisia sui provvedimenti interni: il Gestore dei Servizi Elettrici ha pubblicato il Rapporto Statistico sul Fotovoltaico, dove si legge che la potenza installata è rilevantissima e pari a circa 16 milioni di kW, ma leggiamo pure, che le ore di funzionamento medio sono state 1312 (su 8560 che ce ne sono in un anno) con una energia prodotta di 21543 milioni di kWh cioè equivalenti a tre impianti a ciclo combinato e costati alla collettività 7,8 MLD di euro assorbiti per quasi il 90% da società e fondi soprattutto esteri. Il paradosso è costituito dall’evidente fallimento della lotta alle emissioni, che sono cresciute globalmente del 45% rispetto al 1990 e la sottrazione di risorse, per disinquinare e praticare strategie di adattamento territoriale agli effetti del riscaldamento globale.
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che si appropriano della difesa dell’ambiente solo se rappresenta un’opportunità di massimizzazione degli investimenti come oggi avviene e, che cinicamente poi fiscalizzino come il caso Ilva, un’occupazione generatrice di morte e gestita facendo strame di norme di tutela ambientale. Questa è la logica cinica e perversa, che ispira i provvedimenti su Taranto. Chi scopre i problemi di Taranto oggi o è in mala fede o è un cialtrone della peggiore specie. Basta un minimo di serietà per sapere che da ventitré anni Taranto è in emergenza ambientale. Il dpcm 30 novembre 1990 dichiara l’area di Taranto a “elevato rischio di crisi ambientale”. Emergenza rinnovata con dpcm del 30 luglio 1997. Il cinismo di oggi si può misurare anche sullo strumento di disinquinamento promulgato, per esempio attraverso la G.U. n. 380 del 30 novembre 1998 con la quale era pubblicato il “ Piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Brindisi e Taranto”. Enea nel 1994 predispose uno studio per l’area a rischio di Taranto con il quale è stato poi redatto il Piano di Risanamento approvato con dpr 196 del 23 aprile 1998 istituendo Comitati Tecnici di Coordinamento per l’attuazione del Piano.
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Con Ordinanza n 3077 del 2000 del Ministero dell’Interno , la gestione dell’ area a elevato rischio ambientale fu affidata al Commissario Delegato per l’Emergenza Ambientale in Puglia con la funzione di sovrintendere e coordinare gli interventi e le attività contenute nei Piani di Risanamento. Un rischio ambientale determinato, non solo da Ilva, ma anche dal Cementificio CEMENTIR, dalla raffineria AGIP. Chi oggi si sorprende dei dati sulle gravi patologie dovrebbe sapere che organismi come l’Osservatorio Regionale della Puglia , l’Enea , l’Istituto Superiore di Sanità e l’Organizzazione Mondiale della Sanità attraverso vari studi epidemiologici hanno verificato l’incremento di gravi patologie nelle area di rischio che comprende i comuni di Taranto, Crispiano, Massafra, Montemesola e Statte già moltissimi anni fa. Il Piano di risanamento prevedeva azioni finalizzate alla riduzione dell’inquinamento attraverso tecnologie innovative oltre che all’aumento dell’attività di vigilanza e controllo al fine della tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini.
Addirittura un accordo di programma siglato tra Ministero dell’Ambiente e Regione Puglia prevedeva l’avvio del Progetto SIMAGE (Sistema Integrato per il Monitoraggio Ambientale e la Gestione delle Emergenze) a proposito del rischio industriale nell’area (sperimentato in Veneto nell’area di Marghera) e finalizzato alla salvaguardia della salute dell’uomo. Taranto inoltre è il Comune pugliese con il maggior numero d’impianti a rischio d’incidente rilevante (ne ha dieci!) e produce di più del 50% dei rifiuti speciali prodotti in Puglia.
Insomma alla fine, dopo più di venti anni i risultati del disinquinamento sono misurati dalle tante, povere vittime del disimpegno della Politica e dal cinismo di un utile estratto da tante vite di cittadini tarantini. Il decreto salva Ilva del Governo delle larghe intese crea quel limitatissimo aggregato di potere che Acemonglu e Robinson definiscono le “ elite estrattive” che hanno rendite a spese della società. La prova ennesima della degenerazione politica imbelle e prigioniera di soggetti privati.

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