Il presidente dell'Ilva Bruno Ferrante ha presentato una nuova istanza alla procura della Repubblica di Taranto chiedendo "senza indugio" il dissequestro dell'acciaio finito sotto sigilli il 26 novembre del 2012. Sotto chiave finirono un milione ed ottocento mila tonnellate di acciaio prodotto dallo stabilimento siderurgico dal valore stimato fra gli ottocento milioni ed il miliardo di euro.
Il nove aprile scorso, con sentenza depositata nei giorni scorsi, la Corte Costituzionale ha respinto i ricorsi di gip e tribunale dell'appello cautelare di Taranto dichiarando legittima la legge 231 del 2012, meglio nota come "salva-Ilva", che dispone la prosecuzione dell'attività industriale anche in presenza di un sequestro e la commercializzazione dei prodotti, anche se realizzati prima dell'entrata in vigore del decreto legge del governo Monti, convertito in legge nel giro di un mese a dicembre 2012. Per i legali dell'Ilva, la Corte Costituzionale ha indubbiamente colto lo stretto legame fra il sequestro delle strutture produttive e l'acciaio. Nell'istanza firmata da Ferrante, è scritto che "entrambi i sequestri sono accomunati dalla finalità ultima, esplicitamente dichiarata, di provocare la chiusura dell'impianto, considerata l'unico mezzo per avviare un effettivo risanamento del territorio e l'unico strumento di tutela della salute della popolazione.
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Il nove aprile scorso, con sentenza depositata nei giorni scorsi, la Corte Costituzionale ha respinto i ricorsi di gip e tribunale dell'appello cautelare di Taranto dichiarando legittima la legge 231 del 2012, meglio nota come "salva-Ilva", che dispone la prosecuzione dell'attività industriale anche in presenza di un sequestro e la commercializzazione dei prodotti, anche se realizzati prima dell'entrata in vigore del decreto legge del governo Monti, convertito in legge nel giro di un mese a dicembre 2012. Per i legali dell'Ilva, la Corte Costituzionale ha indubbiamente colto lo stretto legame fra il sequestro delle strutture produttive e l'acciaio. Nell'istanza firmata da Ferrante, è scritto che "entrambi i sequestri sono accomunati dalla finalità ultima, esplicitamente dichiarata, di provocare la chiusura dell'impianto, considerata l'unico mezzo per avviare un effettivo risanamento del territorio e l'unico strumento di tutela della salute della popolazione.
Con il sequestro dei materiali giacenti nell'area dello stabilimento, in particolare, si mira a far mancare le risorse indispensabili per la prosecuzione dell'attività aziendale, che provengono, come per ogni impresa produttiva, dalla vendita dei prodotti sul mercato". I legali dell'Ilva ricordano che secondo la Consulta, non avrebbe senso autorizzare la ripresa della produzione (anche se in presenza di un sequestro della magistratura) senza permettere all'industria di venderne il prodotto, ritenuto lecito in sé e non inquinante. Secondo gli avvocati dell'Ilva, infine, il sequestro della merce è illegittimo dal 5 gennaio scorso (data di entrata in vigore della legge "salva-Ilva") e la procura si è "assunta una gravissima responsabilità ad impedire la commercializzazione dei prodotti Ilva dal 5 gennaio ad oggi, con danni di enorme rilevanza".