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domenica 8 luglio 2012

NICOLA LEGROTTAGLIE. VERREI A TARANTO SOLO COME DIRIGENTE

Per molti ormai è «fratello Nicola». Lui da tempo non ne fa mistero. Ha abbracciato il cristianesimo e fa parte degli Atleti di Cristo. Originario di Mottola, Nicola Legrottaglie, già difensore di Juventus, Milan e Nazionale, a Taranto, nella centralissima Piazza Maria Immacolata, per raccontare della sua esperienza di fede.
Fra qualche giorno sarà già in ritiro con il Catania. Cosa si porta dietro di queste vacanze pugliesi?
«Tanta fatica. Ho visto il mare solo due volte. Sto seguendo i lavori di una villa che sto facendo costruire per la mia famiglia, in contrada Boara, sempre nel mio paese. Della stanchezza mi ripaga la gioia di aver riabbracciato i miei parenti».
Un modo per stare vicino ai suoi l’anno scorso ci sarebbe stato, se avesse accettato l’offerta del Lecce...
«È una leggenda. Non ho mai ricevuto proposte dalla società giallorossa. L’unica che ebbi fu del Catania e l’accettai».
Con i siciliani però si è tolto più di una soddisfazione: 31 presenze e 5 gol. Si aspettava un anno così?
«Quando inizia un nuovo corso non sai mai cosa ti aspetta. Quello di cui ero sicuro è che avrei dato il massimo per fare un buon campionato. Ci sono riuscito impegnandomi tanto. Se si vogliono risultati occorre sacrificio».
Ha seguito gli Europei? E ha chiamato i suoi ex compagni?
«Ho tifato per gli azzurri. Peccato per la finale, ma non c’era storia. Non ho telefonato a nessuno però. Preferisco lasciarli alle loro vacanze».
Tornando alla Puglia, niente proposte dal Lecce, però un trascorso lo ha avuto con il Bari. Che idea si è fatto di quanto è accaduto con la vicenda del calcio scommesse?
«Io a vent’anni sono andato via. Ed a quel tempo c’era una società seria, sana e forte. Di oggi non so nulla. Non voglio giudicare. La giustizia farà il suo. Mi interrogherei piuttosto sul perché accadono queste cose. Per avere buoni frutti bisogna seminare bene».
Uscendo fuor di metafora?
«Bisogna tornare ai valori dello sport. Il rispetto, la lealtà, il senso dell’amicizia e della sana competitività. Il problema è che forse nel nostro ambiente si è puntato troppo sul successo e sul denaro e questi sono i risultati. Chi ha, vuole sempre di più».
Sorprende che tali episodi coinvolgano giocatori professionisti, ci si aspetterebbe questo genere di situazioni a livello dilettantistico. Lei sarebbe per la radiazione?
«Ecco non bisognerebbe aspettarsele nemmeno lì. Non lo prescrive il dottore di fare il calciatore. Se ci si rende conto di guadagnare poco, più che ingannare se stessi e gli altri meglio cambiar strada, fare con onestà un altro lavoro. Per quanto riguarda invece i professionisti, la causa è nell’insoddisfazione esistenziale che nasce dal rapporto mancato con Dio. Io sono per dare un’altra possibilità, a patto che non si ricada in errore nuovamente. Allora occorre eliminare il marcio».
Sulla panchina del Taranto in queste ultime due stagioni c’è stato uno che come lei fa della fede in Gesù un punto di forza: Davide Dionigi. Vi conoscete?
«Ho seguito il percorso dei rossoblù e conosco Davide. Siamo amici, fratelli nella fede. Qualche anno fa ci confrontammo sul nostro percorso di scoperta di Cristo. Sono felice per quello che è riuscito a fare. So che ha lasciato il segno in città e per me questa è una forma di ricompensa di Dio per il buon operato svolto. Spero possa continuare a far bene anche alla Reggina».
Buffon ha garantito 600mila euro di fideiussione per l’iscrizione in C1 alla Carrarese, squadra della sua città, e ne è diventato presidente unico. Lei investirebbe in un Taranto in D?
«Non credo che il calcio sia un buon investimento in termini imprenditoriali. Potrei garantire la mia competenza o accettare un incarico dirigenziale ma solo dopo aver smesso di giocare».  
Marina Luzzi

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