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martedì 19 agosto 2014

PALAZZO GALEOTA SI MOSTRA ATTRAVERSO GLI SCATTI DI GIULIANO DORO

Mercoledi' 20 agosto, nell’ambito della quarta ed ultima serata de L’Isola che Vogliamo – IV Edizione, presso la corte di Palazzo Galeota (in Via Duomo #234), animata dagli artisti dell’Associazione Culturale Hermes Academy Onlus, sarà possibile apprezzare le opere fotografiche della personale “Taranto si Mostra” di Giuliano Doro, musicista e ingegnere di professione, fotoamatore fortemente legato alla propria terra: Taranto e la sua provincia. La collezione fotografica, che nelle varie tappe in giro per la provincia ionica sta riscuotendo grandi successi di pubblico e critica, racconta le bellezze artistico-paesaggistico-archeologiche della Città dei Due Mari e pone l’accento sul circuito della Taranto Sotterranea, recentemente restituita, in parte, ai cittadini e ai turisti.
Il curatore della mostra, Luigi Pignatelli, nella nota di presentazione definisce la fotografia «sintesi dei cinque sensi e braccio operativo del sesto senso, mezzo attraverso il quale il genere umano riesce a vedere, sentire, gustare, toccare, odorare la realtà, squarciando il velo di Maya e generando una visione altra di ciò che ci circonda e ci costituisce. La fotografia mostra ciò che si ha dentro, ferma il tempo e cristallizza ciò che l’azione antropica tende a distruggere. Nelle opere esposte la presenza umana non si vede, ma se ne percepiscono gli effetti, poiché la fotografia per Giuliano Doro, per sua stessa ammissione, è larte di percepire e rendere visibili i segni della nostra esistenza. Ferdinando Scianna dice che “Si può mentire con le fotografie. Si può persino dire la verità, per quanto ciò sia estremamente difficile. Il luogo comune vuole che la fotografia sia specchio del mondo ed io credo occorra rovesciarlo: il mondo è lo specchio del fotografo. Caro Giuliano, se fisso il tuo sguardo, sei in grado di fingere? Quanto c’è di reale in ciò che racconti? L’obiettivo fotografico può distorcere, ma anche riequilibrare la realtà. La chimica degli elementi muove il sole nella giravolta claustrofobica del pentagono dei sensi. Alchimie di anime in pena girano la chiave nella volta celeste. Materia & antimateria si incontrano e si scontrano nella giostra delle (dis)illusioni ottiche: fuori di noi, il nulla; dentro di noi, il tutto. E mi tornano in mente i versi di Alda Merini Mi hai resuscitato dalle scarse origini con richiami di musica divina, mi hai resa divergenza di dolore, spazio per la tua vita di ricerca, per abitarmi il tempo di un errore.” Siamo clessidre, perennemente rivoltate, schiavi di secondi, minuti, giorni, settimane, anni, secoli, millenni. La sperimentazione, nella vita quanto nell’arte, rappresenta per Giuliano Doro una forma di rivolta e di ricerca. Malgrado la (co)scienza non sappia definire codici e fonemi, il fruitore dialoga con l’opera e la funzione dell’autore appare espletata: sogno & bisogno, realtà & rappresentazione, interrogativo & investigazione, antidoti di solitudine, ossimoro di acque & sangue, per anime alla ricerca di involucri di carne. Giuliano Doro è anche un ottimo ritrattista che da ogni stanco & freddo velo spoglia i suoi modelli e le sue modelle e l’anima legge senza pudore e senza timore. La danza della vita alleggerisce le menti e avvicina l’anima all’origine di tutte le cose. La folgorazione dura il tempo di un istante, scopre la carnalità e la suggella, spalanca i cancelli dell’eternità. Superato il gate, la coscienza dovrà collocarsi nell’abisso o sulla vetta.»
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Raimondo Musolino, presidente del Circolo Fotografico “Il Castello”, dichiara di condividere la definizione della fotografia data da Pignatelli e aggiunge: «Giuliano è un ragazzo che sta tentando di trovare una sua dimensione fotografica. Anzi, l’ha trovata la sua strada, che è quella del paesaggio. La sua espressione diventa completa e matura attraverso la ricerca del paesaggio. Mi ha colpito molto la ricerca dei colori di questa Taranto Sotteranea, questo mondo così vario e così ricco. La fotografia ci offre la possibilità di vedere oltre. Vediamo oltre! Non fermiamoci!»
La scenografa Elena Ciaccia ritiene che le opere fotografiche esposte siano «molto contemporanee, attente al recupero del paesaggio e a quelle che sono le problematiche del tempo in cui viviamo» e associa le immagini all’arte contemporanea di Marcel Duchamp, «dove c’era la ripresa di oggetti realistici, per mostrare quello che c’è sotto il suolo, che credo sia anche il fine di Giuliano. Il contemporaneo apre gli occhi su tanto altro, su tutto ciò che è stato.»
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