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martedì 2 ottobre 2012

NIKI VENDOLA. "A TARANTO MUORE UN MONDO INTERO"

 ''Mi separo dalle mie emozioni e cerco di leggere con freddezza il senso di cio' che sta accadendo dentro e fuori l'Ilva di Taranto. Dentro il piu' grande stabilimento siderurgico d'Europa. Dentro una citta' che soffre un dolore lancinante e che inciampa sulle proprie paure. Dentro un perimetro giudiziario in cui rimbalzano quesiti forti e taglienti, che infilzano tutto il buon senso e tutte le leggi che hanno regolato finora il rapporto complesso tra industria e ambiente, e piu' specificamente il rapporto tra produzione e salute. A Taranto succede che muore un mondo intero: o si trova un equilibrio reale tra il lavoro e la salute, oppure un giudice stabilisce che la vita e' incommensurabilmente il bene primario da tutelare''. Lo scrive Nichi Vendola, presidente di Sinistra Ecologia Liberta' e presidente della Regione Puglia, nel suo blog sull'Huffington Post.

''E da questo punto di vista - prosegue - si capovolge un modo astratto e convenzionale di normare la materia dei limiti alle emissioni: non possiamo chiedere ai corpi delle persone di adattarsi alle soglie dei veleni, ai nanogrammi, ai vincoli prestabiliti, bisogna viceversa partire dalla corporeita' della vita e del vivente, dalla sua inviolabilita', per definire le linee di demarcazione tra una emissione lecita e una illecita. Questo diventa un tema non piu' rinviabile quando prende la parola l'epidemiologia, quando le evidenze scientifiche individuano un nesso causale tra inquinamento e patologie, quando dal registro dei tumori si comincia a leggere criticamente la dinamica della morte propagata dagli effetti collaterali di un ciclo produttivo.

Questo significa che e' fatale spegnere l'area a calda e preparare il funerale della grande fabbrica? No. Questo significa che l'Ilva - che ha molto peccato in questi decenni ereditando dall'Italsider di Stato una stizzita indifferenza alle implicazioni ambientali e sanitarie della propria attivita' - deve cambiare registro, deve mettere mano al portafoglio e fare in fretta cento cose concrete: non un piano industriale che assomigli ad una vaga ambientalizzazione, ma un cambio epocale dei propri stabilimenti e delle proprie tecnologie. Ma anche un cambio serio di mentalita'. Tocca all'azienda, che cumula profitti immensi, mettersi in gioco''.

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