Si chiama Guido De Vincentis, ma è conosciuto al grande pubblico come Fido Guido. Musicista, cantante, singJay raggae tarantino, dopo aver suonato con diverse band dà vita alla sua etichetta, la “zuingo communinication” e produce dal 2005 ad oggi sette album collaborando con la conterranea Mama Marjas. Uno dei suoi maggiori successi è “Terra di Conquista” che lo vede protagonista, tra l’altro, in date importanti come Parigi, Koln, Londra. Ha partecipato diverse volte al Sunsplash sia in Italia che in Spagna. Il suo nuovo lavoro si chiama “cangiane le timbe” cooprodotto con la label indipendente tarantina Rebel Vibes Prod..
Fido Guido vogliamo conoscere il tuo mondo musicale. Ripercorriamo le fasi fondamentali della tua vita da cantante, musicista e produttore.
Occorre tornare indietro al lontano 1986 quando, non ancora compiuti i dieci anni, ho incominciato a suonare il clarinetto tramite il corso serale che si teneva nella mia scuola. Ho così studiato solfeggio fino ai 12 anni quindi, avendo cominciato a conoscere vari musicisti, mi sono avvicinato alla batteria. Un amico di 18 anni si rese disponibile per introdurmi nel mondo musicale ed essendo egli all'epoca già un apprezzato batterista (suonava con Lucio Dalla come turnista) non gli fu difficile farmi prendere a cuore questo strumento per me tutt'ora importante. E’ appunto suonando la batteria che nel 1989 cominciai a collaborare con alcune band punk della città. Su tutte voglio ricordare la band "bandiera" dell' HardCore jonico, gli S.F.C., band messa su insieme a mio fratello Enrico, nel '91, e che ci ha portato nei tanti anni in cui ne sono stato il batterista/corista su molti palchi d'Italia e d'Europa. Dopo la pubblicazione di tre demo tape tra il '91 e il '94, un 45 giri nel '95 e il 33 giri d'esordio nel 1996, la band ha poi prodotto altri 4 lavori. Io sono stato parte attiva sino al 2003 quando poi ho cominciato a scrivere, comporre e produrre per la mia Zuingo Communication, album e canzoni in dialetto nella mia carriera solista. Nel 2004 esce il mio primo album "Padrun ‘e sotte" seguito da "Terra di conquista" '06, "Sulla strada"09, "Realtà e cultura" 2012, "Bunch of riddims" 2012, "Screams from iron city" 2013 e "Càngiane le timbe" uscito nel dicembre scorso. Da nominare anche "One world one love one struggle" uscito per l'etichetta modenese "Bizzarri records".
In che genere di musica ti senti a tuo agio?
Io amo mischiare il mio stile vocale con tutti i generi "suonati" sia ska, punk, reggae, jazz o musica popolare, mediterranea. Non ho limiti o barriere in questo senso, prediligo la musica con gli strumenti veri e credo che anche la mia voce "scaldi" molto di più con arrangiamenti "suonati" ma anche il digitale non mi dispiace. Ecco perché, comunque, ho scelto il reggae, genere che amo sia in acustico che in digitale e che, nei suoi temi di fondo, nasce dalla rivendicazione dei diritti. Anche questa è una costante del mio modo di pensare, di scrivere e concepire la musica. Infatti, se posso dirla tutta apertamente, benché io ami quasi tutta la musica, il reggae mi sembra il genere che dà miglior spazio al mio modo di esprimere contenuti e melodie.
Il tuo stile è cantare in dialetto tarantino, per te una vera "medicina", perché?
Perché arrivo a scrivere musica dopo tanti anni di lotte con i vari collettivi che dalla fine degli anni ‘80, per tutti gli anni 90 e gran parte del primo decennio del nuovo millennio, attraverso volantini e iniziative, cercavano di far aprire gli occhi ad una città dominata da interessi fortissimi, come l’acciaio. Interessi che poi abbiamo visto negli anni letteralmente soffocare tutte le ambizioni che la nostra città e il nostro territorio avrebbe potuto sviluppare. Indubbiamente la mia musica è stata un ottimo modo per "comunicare" e scuotere le coscienze dei miei concittadini, modificando, almeno in parte, gli interessi dei giovani e dirottandoli su problemi comuni, di cui tutti siamo responsabili o in cui, comunque, siamo coinvolti. Alludo ad ambiente e lavoro, per esempio. Mi è sembrato potesse essere una medicina capace di risvegliare dal torpore i più giovani mettendoli in condizione di adoperarsi per il proprio territorio e per il proprio futuro, diventandone parte attiva e protagonista.
La vita a Taranto per un ragazzo che vuole suonare, cantare, ballare, com'è e come dovrebbe essere secondo te?
Credo che Taranto viva un momento difficile, sotto tanti aspetti, e quindi anche dal punto di vista della creatività. Mancano strutture, spazi, e le istituzioni non offrono nulla affinché i ragazzi si sentano invogliati o spinti a credere nel proprio talento, per cui si vive (e parlo sulla base di esperienze personali) in una condizione di totale isolamento. In passato Taranto ha sempre avuto tantissimi talenti. Ancora oggi questa città partorisce talenti enormi nella musica come nell’arte in genere, anzi devo dire che negli ultimi anni si sta cercando di mettere in piedi delle cose anche qui. In questo sento di poter essere portato come esempio in quanto, nonostante abbia girato per un decennio in Italia in lungo e in largo e nonostante abbia lavorato con molti produttori esteri, la mia "base" è sempre rimasta qui e la mia vita pure. L 'aver messo su uno studio per anni al quartiere Paolo VI mi ha anche permesso di accrescere il mio rapporto diretto con la città, rendendomi utile e cercando di passare contenuti e passione a tanti ragazzi che avevano voglia di avviarsi su questa strada. Per molti è diventata la loro vita, una vita che avrebbe potuto risolversi nell’attesa della manna dal cielo, sotto qualche palazzo di periferia dove non accade mai nulla e nessuno si preoccupa per te. Tornando alla domanda, credo che uno che fa arte a Taranto debba fare esattamente quello che farebbe se stesse in un 'altra città. Deve credere in quello che fa e possibilmente deve farlo in mezzo agli altri, affinché il rapporto sia sempre di "condivisione" e mai di "competizione".
"Terra di conquista" è un tuo successo anche nei panni di produttore, di cosa si tratta?
Quello è il mio secondo album, tra l'altro, come giustamente dici, ho curato in quel lavoro il 90% delle musiche e degli arrangiamenti. In quell’album cerco di arrivare al cuore delle questioni che rendono la mia città da sempre una "terra di conquista" a causa di egoistici interessi industriali e imprenditoriali, Ci hanno abituato a vivere in una realtà dove vedere enormi ciminiere che sputano veleno è normale, mentre piantare alberi è una cosa del tutto inusuale, cosi come l’abitudine ad una cultura del rispetto ambientale. Per cui, se in un quartiere popolare pianti degli alberi, i ragazzini molto probabilmente li distruggeranno. E intanto si continua a vivere senza discutere e con tanta rassegnazione, come se fosse normale, sotto le ciminiere e sotto i fumi velenosi che ancora oggi, mentre parliamo, non cessano di avvelenarci. Terra di conquista apre gli occhi alla gente, entra nelle case e mette a confronto le generazioni, i padri e i figli e ci aiuta a renderci conto che è in mano a noi e solo a noi la responsabilità di un'eventuale svolta, perché da sempre gli enti e le istituzioni si sono mostrati corrotti e "comprabili" anziché devoti a quel senso di responsabilità che vuole sia garantita quantomeno aria pulita da respirare
La musica è anche voglia di riscatto: tu cosa ti senti di gridare al mondo intero?
Ci vorrebbe più giustizia sociale, invece i poveri diventano sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. Ci sono nazioni di serie A e nazioni di serie B e così è per le città e addirittura per i quartieri. E’ un mondo iniquo, dove assisti a scene di bimbi che non hanno acqua e altri che ne sprecano troppa, credo che così non avremo molto tempo a disposizione. Prima che saltino quegli equilibri già molto precari occorre che i "padroni del mondo", oltre a rinchiudersi per decidere le sorti del mondo come fanno con i loro g8, g9, g10 eccetera, comincino ad adottare politiche eque e giuste, nel rispetto delle differenze e di tutti.
Quando non fai musica, come impegni il tuo tempo libero?
Dedico del tempo a mia madre e a mia figlia, poi al disegno. Considera, inoltre, che non ho mai avuto un manager e quindi fare musica per me non è solo comporre o cantare sul palco. L' autoproduzione comporta anche un serio impegno nel prendere contatti diretti con la gente e quindi organizzare le proprie date, il proprio lavoro, la stessa grafica dei dischi (che vuole parecchio impegno nel tempo) o la composizione delle musiche dei brani. Sono tutte fasi che necessitano di tempo, specialmente quella del tenere in piedi rapporti che, negli anni, aumentano e che diventano oggettivamente lo strumento attraverso il quale riesco a diffondere la mia musica. Questa è la fase più importante di tutte, la diffusione della musica, la sua distribuzione, visto che, come saprai, non uso circuiti cosìddetti "mainstream" ma che, pure qui, tutto viaggia su un binario molto particolare, cioè quello del "supporto" vero che viene dalla gente, mentre oggi lo "star system" prevede che si paghino le radio per far suonare questo o quel determinato artista. Bene, stare fuori da quei circuiti e girare lo stesso, comporta un grosso impegno in termini personali nel sostenere questa o quella causa, anche per ricambiare quel supporto che dalla gente sempre mi viene dato.
I tuoi maggiori successi.
Senz'altro Terra di Conquista, A me, comunque, piacciono tutti i miei dischi, ma lascio che sia la gente a decidere cosa piace di più o di meno. Una cosa è certa non suono mai quello che potrebbe piacere alla gente. Io suono sempre quello che piace a me, poi cerco di portare su quella linea coloro che mi ascoltano alla fine decidono e credo lo facciano bene, davvero non saprei.
L'ultimo lavoro è sempre in dialetto tarantino: "cangiane le timbe". Parliamone.
E’ un album che arriva dopo 10 anni di attività in questa mia carriera solista. Ha i suoni freschi che ricordano un po’ gli anni ‘80 con il suono del rullante e del basso, ma soprattutto è un album che ho concepito insieme a Rootikal (Alessio Ruta), esponente della giovane label tarantina RebelVibesProductions. La collaborazione ha dato vita ad un album potente, ballabile, che scorre con piacere e che non smette di offrire alle orecchie di chi ascolta sempre spunti nuovi di riflessione su quella che è la realtà che ci circonda. Osservata con i nostri occhi, di uomini di questi tempi, così precari e incerti, è un album ricco, che consiglio vivamente a tutti di acquistare, se si ama il reggae tradizionale soprattutto.
Un sogno nel cassetto.
Completare presto il mio secondo album in inglese e riuscire a suonare all'estero in modo da poter rappresentare la mia città nel mondo, senza limiti di linguaggio, di stile, di musica. Suonare, viaggiando sempre in modo da apprendere sempre e conoscere ancora di più, arricchirmi come persona, migliorare, attraverso le esperienze e grazie alla musica, dalla quale sempre si prende e alla quale sempre si dà.
Massimiliano Raso