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mercoledì 25 luglio 2012

PIOMBO NELLE URINE DEI TARANTINI

L’attesa, come fuori una sala parto, a Taranto è ormai spasmodica. Soprattutto in presenza di notizie presunte e non documentate. Di certo c’è, al momento, solo che ieri il giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco ha depositato in cancelleria il provvedimento a seguito dell’incidente probatorio, chiuso il 30 marzo scorso, inserito nel processo per disastro ambientale e inquinamento atmosferico a carico dei vertici e dei dirigenti dell’Ilva. Mentre in fabbrica ansia e previsioni si moltiplicano non resta che attendere la notifica alle parti interessate per conoscere le decisioni prese dal magistrato. Gli elementi di valutazione contenuti nelle due perizie, chimica ed epidemiologica discusse nell’incidente probatorio, attribuiscono precise responsabilità all’Ilva sul mancato controllo delle emissioni fuggitive e dello spolverio e descrivono una situazione sanitaria che lega in modo indissolubile gli agenti inquinanti prodotti dall’impianto siderurgico con i ricoveri, le patologie e i decessi registrati a Taranto. Con l’avvertenza che le evidenze statistiche registrate negli anni dopo il 1995 analizzati sono frutto delle emissioni del periodo relativo all’Italsider.
In ogni caso a Taranto, a seconda dei quartieri più o meno a ridosso delle ciminiere, lo stato della salute collettiva è fortemente compromesso con gradazioni diverse e non risparmia la popolazione infantile che, anzi, registra un aumento della mortalità del 18 per cento nel periodo preso in esame. È opinione diffusa che, di fronte a un quadro di chiare responsabilità, non possa che esserci un decreto di sequestro dell’area a caldo e provvedimenti correlati per i cinque indagati (Emilio e Nicola Riva, Luigi Capogrosso, Ivan Di Maggio, Angelo Cavallo). L’unica variabile è se il sequestro preveda o meno la facoltà d’uso, due diverse circostanze in grado di modificare completamente reazioni e clima sociale. La tensione, in attesa delle decisioni della magistratura, è così alta che la Digos ha predisposto la tutela del giudice Todisco e dei quattro pubblici ministeri della procura che seguono il caso-Ilva, una forma di cautela dopo il tam tam fatto riecheggiare sui social network di azioni di contrasto a eventuali chiusure degli impianti. Nervosismo che, in qualche modo, viene ammesso ma ridimensionato da chi, più che chattare su Facebook, va ogni giorno a lavorare nel centro siderurgico. Intanto l’azienda ha annunciato ieri che il Treno nastri 1, costretto a fermarsi lo scorso 10 giugno a causa di mancanza di commesse, tornerà a marciare al massimo della sua potenzialità dai primi giorni di settembre.
Torneranno sull’impianto 232 lavoratori, smistati in altri reparti, riprendendo i 21 turni settimanali del funzionamento a pieno regime. Vincenzo Castronuovo, segretario di settore della Fim Cisl sottolinea come questa «notizia positiva contribuisce a rendere meno triste lo scenario attuale». La definisce come «un nuovo modello di relazione da parte dell’Ilva, considerato il largo anticipo con cui è stata comunicata la ripartenza, che leggiamo positivamente, un segnale di distensione importante che rimarca la volontà dell’azienda a mantenere saldo ogni livello occupazionale in fabbrica». L’annuncio dato dall’Ilva si inserisce nella grande partita a scacchi che da settimane si gioca sul destino della più grande fabbrica di acciaio d’Italia. La ripartenza del Tn1 segnala, mentre governo ed enti locali ratificano in fretta e tardivamente leggi innovative e stanziano soldi per le bonifiche, che ci sono nuovi ordinativi da soddisfare e non si può fermare l’area a caldo ora che il Treno nastri si rimette in moto. Il gruppo del Partito Democratico alla Provincia, infine, chiede che «il tavolo istituzionale aperto a palazzo Chigi con Regione, Provincia, Comune e parlamentari, sia costituito in forma permanente per non permettere a nessuno di poter neppure per un solo secondo ritenersi esonerato dall’impegno sul tema».
Cesare Bechis

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